La tubercolosi è una malattia contagiosa che si trasmette per via aerea mediante un batterio, il Mycobacterium tuberculosis. Il contagio può avvenire per trasmissione da un individuo malato, tramite saliva, starnuto o colpo di tosse.
Per trasmettere l’infezione bastano pochissimi bacilli anche se non necessariamente tutte le persone contagiate dai batteri della tubercolosi si ammalano in tempi ristretti. Il sistema immunitario, infatti, può far fronte all’infezione e il batterio può rimanere quiescente per anni, pronto a sviluppare la malattia al primo abbassamento delle difese.
Si calcola che solo il 10-15% delle persone infettate dal batterio sviluppa la malattia nel corso della sua vita.
Un individuo malato, però, se non è sottoposto a cure adeguate può infettare, nell’arco di un anno, una media di 10-15 persone.
Nonostante sia una malattia prevenibile e curabile, la tubercolosi costituisce oggi una delle emergenze sanitarie più drammatiche, tanto da essere stata dichiarata emergenza globale nel 1993 dall’Oms ( Organizzazione mondiale della sanità ) per l’enorme carico sanitario, economico e sociale che la accompagna.
La tubercolosi è infatti ancora trattata con farmaci di vecchia concezione, mentre una diagnosi precoce e l’uso di trattamenti adeguati e innovativi potrebbe incidere significativamente sulla riduzione della malattia.
Per riuscire a ridurre significativamente l’incidenza di questa malattia nel mondo, è nata nel 2000 l’alleanza globale Stop Tb, un network di oltre 400 organizzazioni internazionali, Paesi e associazioni pubbliche e private coordinate dall’Oms, che ha lanciato un primo piano globale per fermare la tubercolosi ( 2001-2005 ) e, a inizio 2006, un secondo piano globale ( 2006-2015 ).
I sintomi della tubercolosi sono tosse, perdita di peso, dolore toracico, febbre e sudorazioni. Nel tempo, la tosse può essere accompagnata da presenza di sangue nell’espettorato.
Il test più utilizzato per evidenziare l’infezione tubercolare è quello di Mantoux, che si esegue inoculando nella cute del braccio una sostanza, la tubercolina. Una risposta positiva comporta la necessità di eseguire una radiografia toracica per verificare la presenza della malattia a livello polmonare.
La diagnosi precoce per la presenza di Mycobacterium è però quella effettuata a livello microscopico sull’espettorato della persona, come previsto dalla strategia Dots indicata dalle linee guida internazionali pubblicate nel 1995.
La strategia Dots ( directly observed therapy ) prevede anche che il paziente venga seguito costantemente da un operatore, nel corso dei 6-8 mesi previsti dalla terapia, con un’osservazione costante della regolarità di assunzione dei farmaci, degli effetti e dell’efficacia degli stessi e dell’andamento della malattia.
Il trattamento farmacologico, ( così com’è indicato dai CDC degli Stati Uniti ), si basa sull’uso di antibiotici, in particolare di Isoniazide, Rifampicina, Etambutolo ( o Streptomicina ) e Pirazinamide ( definiti farmaci di prima linea ), per due mesi. Nei successivi 4-6 mesi, la terapia prosegue con due farmaci in associazione, ad esempio Isoniazide ed Etambutolo.
Nel caso di farmacoresistenza, in particolare segnalata contro Rifampicina e Isoniazide, è necessario utilizzare per un periodo molto più lungo farmaci di cosiddetta seconda linea, che possono essere molto più costosi e provocare più effetti collaterali.
La tubercolosi tende a interagire in modo drammatico con il virus Hiv e la combinazione delle due infezioni è letale: una malattia accelera il decorso dell’altra. L’Hiv indebolisce il sistema immunitario. Chi è sieropositivo e viene infettato da tubercolosi si ammala di tubercolosi molto più facilmente di chi è infetto ma non sieropositivo. La tubercolosi è infatti la principale causa di morte tra le persone sieropositive. In Africa, l’Hiv è il fattore che di fatto ha determinato l’incremento d’incidenza della tubercolosi negli ultimi 10 anni.
Fino a cinquant’anni fa non c’erano medicine per curare la tubercolosi, mentre negli ultimi decenni si sono diffuse cure antibiotiche.
La diffusione di trattamenti incompleti o non correttamente somministrati ha portato all’insorgenza di ceppi resistenti agli antibiotici.
La resistenza può essere causata da una inconsistente o parziale terapia, come per esempio quando i pazienti non prendono tutte le medicine regolarmente perché iniziano a sentirsi meglio, perché i dottori e gli operatori sanitari prescrivono una terapia inadeguata o perché i prodotti farmaceutici offerti non sono sempre affidabili.
Una forma di tubercolosi resistente ai farmaci particolarmente pericolosa è la tubercolosi multi farmaco-resistente ( Mdr-Tb ), malattia provocata da batteri resistenti almeno ai due medicinali di prima linea più potenti, Isoniazide e Rifampicina.
La tubercolosi multiresistente va quindi curata necessariamente con farmaci di seconda linea.
Secondo l’Oms, la tubercolosi multiresistente è ormai presente praticamente in ogni area del mondo e costituisce uno dei problemi più importanti nel controllo e trattamento della tubercolosi.
In alcuni casi, attualmente ancora piuttosto rari, la tubercolosi multiresistente può trasformarsi in una forma di infezione ancora più difficile da trattare, in quanto resistente anche ai farmaci di seconda linea, e definita per questo tubercolosi estremamente resistente ai farmaci ( Xdr-Tb ).
In particolare, secondo la definizione data dalla task force dell’Oms nell’ottobre 2006, la Xdr-Tb è la forma di tubercolosi resistente anche a tutti i fluorochinoloni e ad almeno tre dei farmaci di seconda linea iniettabili ( Capreomicina, Kanamicina e Amikacina ).
Data la limitata disponibilità di farmaci efficaci, diventa quindi essenziale tenere sotto controllo queste forme della malattia. La probabilità di successo della terapia dipende dall’estensione della resistenza del ceppo batterico, dalla gravità della malattia e dal livello di compromissione del sistema immunitario del paziente.
La tubercolosi è una malattia fortemente associata alle condizioni in cui vivono le persone. L’abbassamento delle difese immunitarie, infatti, può dipendere dal fatto di vivere in condizioni igieniche molto scarse e di soffrire di uno stato di malnutrizione e cattive condizioni generali di salute.
Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, per esempio, le decine di milioni di rifugiati che vivono in condizioni molto precarie in diversi Paesi del mondo, a seguito di guerre o di catastrofi naturali, sono a rischio molto alto di sviluppare tubercolosi.
La necessità di tenere sotto controllo la tubercolosi nei campi profughi e rifugiati, soprattutto in zone dove l’incidenza della malattia è già molto alta come in Africa, costituisce quindi una priorità assoluta. ( Xagena2016 )
Fonte: Istituto Superiore di Sanità, 2016
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